il Mediatore condominia
Su circa 5 milioni di cause civili pendenti in Italia, secondo le statistiche del Ministero della Giustizia, sarebbero oltre 1 milione quelle relative a liti condominiali.
Già questo dato fa capire quanto sia travagliata la vita nei condomini del nostro Paese: una litigiosità esasperata, che ha pià volte portato, nei casi più esasperati, a gravi turbative dell’ordine pubblico e addirittura a reati gravissimi contro le persone.
Eppure i dati statistici evidenziano come i motivi delle controversie siano spesso banali, di poco conto; un’importante associazione di amministratori di condominio ha stilato una “classifica” delle cause più frequenti di lite fra condomini:
- immissioni di rumori o odori nelle aree comuni o negli appartamenti vicini;
- collocazione in aree comuni di oggetti o veicoli di singoli condomini;
- rumori causati dai giochi dei bambini in cortile;
- sgocciolamento causato dall’innaffiatura di piante sui balconi;
- la conduzione di animali nelle aree comuni;
- decoro esterno del condominio (bucato steso, lancio di mozziconi di sigaretta dai balconi, tovaglie sbattute).
Per questi motivi ogni anno due milioni di condòmini si rivolgono alla Giustizia, spesso per veder respingere i propri ricorsi, oppure per trovarsi invischiati in cause civili pluriennali, costosissime e dall’esito incerto.
La banalità dei motivi, però, non deve far sottovalutare l’importanza che la convivenza pacifica nel proprio condominio ha per ognuno di noi: litigare con i vicini o con il condominio significa innanzi tutto perdere buona parte della serenità personale e del piacere di vivere a casa propria.
L’unica soluzione valida per ridurre questa conflittualità è la ripresa del dialogo fra le parti litiganti, che siano vicini di casa o Amministratori di condominio e condòmini.
Elenchiamo di seguito una serie di consigli per gli amministratori di condominio al fine di poter procedere agli adempimenti relativi la mediazione.
Domande frequenti:
Quali le tematiche condominiali possono essere oggetto di mediazione?
Tutte le controversie che derivano dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni contenute nel codice civile in tema di condominio, nulla escluso. Vi rientrano, pertanto, le questioni relative alle parti comuni dell’edificio, a migliorie, innovazioni, manutenzione e ricostruzione, quelle relative alla ripartizione delle spese, l’impugnativa delle delibere – così come lo scioglimento del condominio, la revisione dei valori dei piani e delle unità immobiliari, le infrazioni al regolamento e così via.
Chi può chiedere una mediazione condominiale?
Quando la parte richiedente è Il Condomino o l’Amministratore del Condominio questi possono presentare la domanda di mediazione a un Organismo di Mediazione che abbia una sede nel circondario del Tribunale ove si trova il Condominio.
Il Condominio o l’Amministratore possono essere chiamati in mediazione?
Il condominio, l’amministratore e i condomini, possono anche essere chiamati in mediazione da uno o più condomini o da eventuali terzi. Le principali controversie in materia di condominio riguardano l’opposizione a delibere assembleari, contestazioni relative le parti comuni dell’edificio, regolamenti condominiali e convivenza con gli altri condomini.
Cosa deve fare l’Amministratore del condominio se viene chiamato in mediazione?
il comma 5 dell’articolo 71-quater delle Disposizioni di attuazione del Codice civile stabilisce che nelle controversie con mediazione obbligatoria secondo l’articolo 5, comma 1, del Dlgs 28/2010, la proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza stabilita dall’articolo 1136, comma 2, del Codice civile (la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio); la disposizione termina precisando che, se non si raggiunge tale maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.
La norma causa un grave problema applicativo, dal momento che la conciliazione relativa alla controversia condominiale configura, in sostanza, un accordo transattivo fra il condominio e la sua controparte (che può essere uno dei condòmini oppure un soggetto terzo, come per esempio un fornitore) e, riguardo alle transazioni relative alle controversie condominiali, la giurisprudenza applicava (sino alla riforma) il principio consolidato secondo cui è sempre indispensabile il consenso di tutti i condòmini, senza esclusioni, per approvare validamente una transazione (Cassazione sentenze 1994/1980, 2297/1996, 4258/2006, 7094/ 2006 e 821/2014). Questo principio viene giustificato osservando che l’ammissione della legittimità di una transazione deliberata dalla sola maggioranza e non dalla totalità dei condòmini comporterebbe la sostanziale rinunzia a tutte le garanzie che la disciplina sul condominio prevede a favore della minoranza per i casi di abusi o di decisioni arbitrarie da parte della maggioranza. I rischi quindi esistono e sono forti, e potrebbero riguardare anche decisioni pregiudizievoli sui beni del condominio.
Sempre con medesimo scopo il principio dell’unanimità viene applicato anche per quanto riguarda l’accordo derogatorio alla giurisdizione ordinaria (che può anche essere previsto nel regolamento contrattuale, come afferma la Cassazione, con ordinanza n. 17130 del 25 agosto 2015): in mancanza del consenso di tutti i condòmini (e non solo di quelli presenti all’assemblea) la delibera con cui viene sottoscritto il compromesso non è valida. E anche la clausola compromissoria che deferisce le liti al giudizio arbitrale va contenuta in un regolamento condominiale di tipo contrattuale.
In sostanza, l’analogia fra le due situazioni (deliberazione relativa alla proposta conciliativa nella procedura di mediazione obbligatoria e deliberazione relativa alla transazione che definisce il giudizio ordinario) avrebbe dovuto imporre l’applicazione di regole identiche, che il comma 5 dell’articolo 71-quater ha invece sconvolto, esponendo così i condòmini in minoranza a ingiustificati sacrifici e vanificando l’impianto di tutela contenuto nelle disposizioni originarie sul condominio.
Comunque ora l’accordo conciliativo, nonostante la sua denominazione, in concreto, determina, nell’ambito di una controversia, un risultato analogo a quello di una transazione.
È importante infine evidenziare che, seppure la maggioranza prevista dall’articolo 71-quater, comma 5, corrisponda alla medesima maggioranza richiesta dall’articolo 1136, comma 4, del Codice civile per l’approvazione delle delibere relative alle liti attive o passive (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio), in questo secondo caso, però, il condòmino che dissente rispetto al voto della maggioranza dispone comunque del diritto di mantenere separata la propria responsabilità.
Questo in base all’articolo 1132 del Codice civile, qualora l’assemblea deliberi – in modo illegittimo o anche solo inopportuno – di agire o resistere in giudizio e inoltre dispone pure della legittimazione, in proprio, ad agire in giudizio a difesa dell’interesse comune, con la conseguenza che, grazie a questi rimedi, il diritto di ciascun condomino non resta mai sistematicamente sacrificato dal voto della maggioranza, come invece risulterebbe applicando la sola maggioranza previsto dall’articolo 71-quater, comma 5, senza raggiungere l’unanimità dei consensi.
L’Amministratore del Condominio può presentare la domanda di mediazione?
Per promuovere o per accettare la mediazione, l’Amministratore deve essere autorizzato da una delibera assembleare, assunta con la maggioranza di cui all’art. 1136 c. 2 del Codice Civile (cioè “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore del Condominio”). La norma prevede che all’ Amministratore sia dato il tempo necessario per convocare l’assemblea e ottenere le necessarie delibere.
Il Condomino ha solo 30 giorni (decorrenti dalla data dell’assemblea, se dissenziente, o dal ricevimento di copia del verbale, se assente) per impugnare la delibera: come si raccorda questo termine decadenziale con la domanda di mediazione?
La comunicazione della domanda di mediazione blocca il termine decadenziale di 30 giorni. È essenziale sottolineare che non è il deposito della domanda a impedire la decadenza ma la sua comunicazione all’Amministratore del Condominio. È quindi necessario che il condomino, oltre a presentare la domanda di mediazione all’Organismo, invii altra copia della domanda, sottoscritta, all’Amministratore del Condominio con modalità idonee a dimostrare la data di ricevimento: con raccomandata A/R, P.E.C. o, perfino, tramite Ufficiale Giudiziario (quest’ultima è la soluzione più sicura ed economica, dato che non vi sono spese di notifica). Qualora richiesto sarà direttamente INMEDIAR a provvedere alla comunicazione dell’avvio della procedura di mediazione.
Presentata la domanda, cosa succede?
L’Organismo nomina il Mediatore, informa la parte invitata in mediazione e fissa l’incontro. Di fronte al Mediatore le parti, assistite da un legale di proprio fiducia, espongono le ragioni della controversia, discutono, individuano e confrontano i propri interessi, allo scopo di pervenire ad una soluzione condivisa, di mutua utilità.
Si possono prevedere sessioni separate: in esse, ciascuna parte avrà la possibilità di fornire al solo Mediatore le informazioni che reputa utili alla risoluzione della controversia, ma che non intende far conoscere all’altra parte.
Le parti, in mediazione, hanno l’opportunità di trattare tutti gli aspetti della controversia, compresi quelli che in Tribunale non troverebbero spazio, ma che spesso sono fondamentali poiché attengono ai loro rapporti interpersonali. Ciò consente di pervenire a soluzioni più durature ed efficaci.
Che valore ha l’accordo raggiunto in sede di mediazione?
L’accordo vincola le parti e quindi l’Amministratore deve essere preventivamente autorizzato dall’assemblea con il citato quorum deliberativo di cui all’art. 1136, 2° c. cod.
E in caso di inadempimento?
È importante sapere che l’accordo di mediazione, sottoscritto dai legali che assistono le parti, ha direttamente valore di titolo esecutivo e consente ogni azione esecutiva. A differenza dell’accordo di transazione sottoscritto con scrittura privata, la cui inadempienza rende indispensabile ricorrere al Giudice perché emetta una sentenza o un decreto ingiuntivo, l’accordo conciliativo non richiede ulteriori pronunce ma viene subito dotato di formula esecutiva permettendo ogni azione forzata.
Solo in caso di mancanza della sottoscrizione degli Avvocati che assistono le parti l’accordo, per divenire titolo esecutivo, dovrà essere omologato dal Presidente del Tribunale territorialmente competente (con la verifica formale che esso non violi norme fondamentali dello Stato), procedura comunque molto rapida.